TO DO- ANALISI DI UN'OPERA E DEL SUO BANG
LETTURA E RIASSUNTO-COMMENTO DELLA PARTE OTTAVA DEL LIBRO "Architettura e modernità", Antonino Saggio
“Un
giorno le macchine riusciranno a risolvere tutti i problemi, ma mai
nessuna di esse potrà porne uno.”
Albert
Einstein
Esattamente.
La tecnologia risolve tanti problemi ma non ne pone mai uno. Perché?
Perché manca di quello che caratterizza l’uomo, ovvero lo
strumento intellettuale. Nel campo dell’architettura, la così
detta “rivoluzione informatica” ha generato un terremoto che ha
portato tanti architetti ad interrogarsi sulle mutazioni che questo
strumento ha introdotto nell’ ambito del processo progettuale .
L’informatica va a configurarsi come il mezzo attraverso cui la
nostra era affronta lo sviluppo della forza dell’immaginazione e,
in particolare, in molti casi come quest’ultima si approccia alla
progettazione del paesaggio, che torna ancora una volta ad essere al
centro del dibattito.
Bisogna
tornare indietro di qualche anno, quando il problema paesaggio ha
visto come protagonisti della scena tre grandi architetti: Peter
Eisenman, Frank Gehry e Zaha Hadid. Proprio agli anni ottanta si deve
arrivare, quando il concetto di contesto diventa il leitmotiv del
pensiero dei progettisti, in quanto si ha ormai la consapevolezza
della natura finita, limitata della città e delle sue risorse. La
parola contesto a riferimento sia alla configurazione del luogo sia
al quadro sociale, storico e culturale che lo influenza. Di
conseguenza, l’architettura non può che accompagnare una realtà
così mutevole e e imprevedibile, che si sviluppa su se stessa e
quale esempio migliore per capire questo processo se non Roma, la
città della stratificazione per eccellenza. Lo zoom su Roma porta
nella vita quotidiana l’elemento storico, cattura l’attenzione su
una realtà costituita da frammenti, stratificazioni, presenze anche
dissonanti, su uno spazio urbano che è “scena” ed è una
continua combinazione di architettura e natura in varia misura
antropizzate. Questo modello di architettura-archeologia comporta una
riammissione delle preesistenze, dei pezzi di natura e di storia in
un circuito vivo. Dall’altro lato, in città in cui lo spirito
cristallizzato di una civiltà si percepisce meno si tenta una
sperimentazione sul fronte sia urbano, che puntuale a livello
residenziale, basato sulla ricerca di nuove forme di relazione tra
tessuto e spazi pubblici (come nel caso di Berlino, Napoli e
Venezia).
Da
queste sperimentazioni nascono tre correnti prevalenti di ricerca
architettonica: una fondata sul concetto di palinsesto e sulle
stratificazioni del territorio (che ha come suo principale teorico
Peter Eisenman); un’altra concentrata sul contesto abbandonato e
caotico delle periferie urbane (che ha per esponente Frank Gehry);
infine, l’ultima è quella che lavora sul contesto-paesaggio come
tessitura (che ha come suo principale esponente Zaha Hadid). Quello
che accomuna tutte e tre le sfaccettature della nuova architettura è
l’imprescindibilità del contesto e della sua relazione con il
paesaggio naturale.
In
particolare, Zaha Hadid realizza delle architetture-infrastrutture
penetrate da continue reti che rammagliano edificio e ambiente,
mutuando le figurazioni dell’uno su quelle dell’altro. La parola
chiave del secolo è COMPLESSITÀ’ e il sentire ormai è un sentire
DIGITALE. Il mondo è un flusso continuo di flash, di connessioni
wireless, di schermi onnipresenti, di bit colorati, in cui cambia la
percezione spaziale proprio perché concepita come schermo: se da una
parte lo schermo è l’emblema della bidimensionalità, dall’altra
diventa telaio prospettico, richiamando una condizione di salto
dentro. Ne è un esempio la copertura tempestata di pixel colorati
del Mercato di Barcellona di Miralles. La
digitalizzazione porta con sé anche l’elemento luminoso e la luce
diventa plasmabile a seconda dell’immagine della città che vuole
dare, acquisendo una sua profondità di significato.
Tornando
alla figura di Eisenman, egli introduce, attraverso la metafora della
piega, un concetto fondamentale: il DIAGRAMMA. Il diagramma nasce
proprio dal folding,
dalla piega, in quanto risulta da una serie di relazioni possibili
del progetto, che conformano insieme il progetto, senza però poter
essere assimilabili ad uno schizzo. La forza del diagramma sta nel
suo carattere di indefinitezza, un po’ come il non finito di
Michelangelo, poiché lascia aperti gli esiti, auspica ad
un’evoluzione in futuro.
IL
diagramma anticipa la MODELLAZIONE, in quanto si occupa di
trasformare mai un singolo pixel, ma un agglomerato, in una logica
sistemica totalitaria. Come sarà questa modellazione? Non potrà che
essere globale: una maglia tridimensionale che contiene e gestisce
tutte le trasformazioni del progetto. Di conseguenza, si passa dal
processo “industriale” a quello dello “skin in “ (Gehry), che
parte dalla conformazione dell’involucro esterno, alle orditure
secondarie, alla componente strutturale infine agli spazi. L’altro
salto legato al tema del cambiamento processuale riguarda le
infrastrutture: da sempre isolate dal terreno, ora la componente
infrastrutturale si radica al suolo, si muovono su di esso come
radici che ne trasformano la conformazione originaria, legando
indissolubilmente la dimensione paesaggistica a quella
dell’architettura.
Modificandosi
il concetto di spazio, si modifica inevitabilmente la sua modalità
di comprensione: nello spazio non troviamo architetture, ma relazioni
che deformano e creano allo stesso tempo, un po’ come la logica
decostruttivista in cui caos
e cosmos convivono
armonicamente. Essendo lo spazio INFORMAZIONE, SUONO, TESSITURA gli
architetti pensano di potersi ergere a creatori di tempo e spazio. Ma
come gestire questa nuova conoscenza?
Entra
in gioco la seconda parola chiave del secolo: l’ INTERATTIVITÀ’.
A sua volta, l’interattività si articola in tre parole chiave
differenti: “catalizzatore”,
“ipertesto” e “modello”. L’interattività
può creare metafore attraverso le quali comunicare, catalizza la
ricerca architettonica, pone al centro il soggetto e non la sua
assolutezza, incorpora le possibilità e la reversibilità dei
sistemi informatici, gioca sul tempo e sulla riconfigurazione
spaziale. L’interattività dunque non è solo strumento della
progettazione, ma è anche interattività emotiva, scambio tra
soggetto e oggetto e l’edificio diventa un elemento di mediazione
che, attraverso l’intelligenza software, decide quali input
adoperare, come un essere vivente informatico.
Tutto
questo comporta il passaggio ad un’architettura totale, che
sia infrastruttura in questo nuovo mondo informatico e che sia
organismo vivente interagente con l’ambiente e con i suoi fruitori.
Un grande pixel in continuo movimento, ma che appartiene ad un grande
schermo che è quello della realtà.
STUDIO DI UN'OPERA ANNESSA ALLA LETTURA DEL LIBRO (NON PRESENTE NEL TESTO NEL MIO CASO) E ANALISI DEL SUO BANG
MORPHOSIS ARCHITECTS-THOM MAYNE, GIANT INTERACTIVE GROUP CORPORATE HEADQUARTERS
“I miei edifici
non parlano a parole ma per mezzo della loro stessa spaziosità.”
Dice
così Thom Mayne, fondatore del gruppo Morphosis Architects.
Letteralmente, morfosi: [dal gr. mórphōsis "(processo di)
formazione"]. - (biol.) Secondo elemento di composti, nei quali
indica una variazione di forma indotta negli organismi da fattori
estrinseci, la cui natura è indicata dal primo elemento del
composto: fotomorfosi, geomorfosi. L’idea alla base del gruppo è
quella di perseguire e realizzare un’architettura testimone di un
processo di formazione e come riflesso di contenuti fisici e mentali.
Mayne è stato influenzato dalle figure di Schindler e Neutra, figure
di spicco nel panorama architettoniche della California del sud.
Schindler elaborò, a contatto con la cultura e le idee americane,
uno stile personalissimo (si è parlato di idea di fragilità e
riparo occasionale), appassionandosi alle concezioni spaziali del
cubismo e del futurismo. Neutra si faceva carico di dare forma al
mondo o almeno provare a definirne una sezione; organizzarne uno
spicchio progettandolo in funzione della variabilità del contesto.
Progettare rapportandosi al contesto e quindi alla sua instabilità e
al suo continuo movimento diviene probabilmente la forma ultima e più
estrema di esplorazione a cui l’uomo si possa dedicare. Progettare
dunque come esplorare, ma anche come viaggio e conoscenza di una
nuova relazione tra lo spazio e il tempo.La visione di Neutra è
quella di un umanista moderno capace di migrare tra le varie
discipline in cerca di risposte e soluzioni. La sua idea di
architettura della fisiologia attraversa il concetto di vita in
un’ottica di sostenibilità dentro alla quale nessuno e in
particolare un architetto può assolutamente sottrarsi.
Per
quanto riguarda l’attività dello studio Morphosis, i primi
progetti erano principalmente di piccola scala e localmente basati,
ma oggi Morphosis Architects è un attore globale significativo sulla
scena architettonica, con uffici a Los Angeles e New York e progetti
in Nord America, Europa, Medio Oriente e Asia orientale. Ciò include
l'architettura residenziale, istituzionale e civica, oltre a progetti
di design urbano su larga scala e design di oggetti su piccola scala.
La
modellazione parametrica e il BIM sono nuovi strumenti nelle mani di
un ufficio che ha tuttavia sempre cercato la complessità spaziale e
le intricate interconnessioni tra concetto e costruzione.
Lo
studio è stato fondato da Thom Mayne, Livio Santini, James Stafford
e Michael Brickler nel 1972. Tre anni dopo sono stati raggiunti da
Michael Rotondi. L'ufficio prende il nome dal termine greco, morfosi,
che significa processo di formazione o di formazione. Quindi il nome
riflette la volontà di abbracciare forme scultoree e la sensazione
di movimento. Una delle chiavi della loro filosofia è "un
approccio sperimentale alla progettazione", che si sposa con il
tentativo di assorbire lo spirito storico del sito in cui si
progetta, in uno spirito prettamente intellettuale, richiamando le
preesistenze archeologiche e le affinità simboliche.
In
questo laboratorio a metà tra architettura e ingegneria, animato da
uno slancio futuristico di ricerca progettuale e dallo studio della
fenomenologia della diversità spaziale, nasce il progetto Gian
Campus a Shanghai. Si tratta di un grande villaggio compatto che
nasce attorno ad un centro di ricerca e sviluppo per l’azienda
cinese di giochi per computer Shi Yuzhu. Il campus si trova al centro
di un lago artificiale, con un grande corpo che fa da contenitore di
uffici, sale riunioni, una serie di spazi indipendenti tra cui una
biblioteca, un hotel, un auditorium, una club house e una piscina
tutti situati sotto un grande tetto verde. La strategia è quella di
instaurare il maggior numero possibile di relazioni tra interno ed
esterno ed offrire una varietà di occasioni di vita quotidiana.
Inoltre, il sito è sezionato da una strada pubblica, quindi per
unificare il campus l’edificio ha un piano di copertura continuo e
una serie di passerelle sopraelevate che collegano le due aree del
sito.
Il
campus è formalmente complesso, futuristico, cromaticamente inibito
e sottomesso, materialmente contenuto, ma, nonostante tutto,
travolgente e spiazzante. Questa architettura è un esempio di
topografia interattiva: il paesaggio è un partecipante attivo, si
perde la distinzione tra antropico e paesaggio. Il sito è un
tutt’uno con la costruzione. Il Giant Campus è un landscraper
come dice Aaron Betsky:
l’architettura si plasma a tal punto sul territorio che va ad
annullare completamente quest’ultimo. Il progetto sembrerebbe
sposare l’idea di Emilio Ambasz di un architettura come “verde
sul grigio”, ovvero un’architettura sotterranea, sepolta o
semisepolta sotto banche erbose che usa il verde per contrastare le
tendenze degli anni ‘70
Di
particolare interesse risultano anche gli interni: ognuno degli spazi
ha una sua presenza, una sua specificità e a seconda dei casi svela
la struttura sottostante o meno attraverso un gioco di materiali pur
mantenendo i toni dei grigi, alternandosi qua e là con dei pixel
rossi o gialli. Lo spazio interno è scandito da particolari elementi
ovoidali, definiti “coni”, a volte con funzione strutturale, a
volte racchiudono percorsi, o ancora si riempono di luce appendendosi
al soffitto. Queste uova
costituiscono quelli che per Bernard Tschumi
sono le Folies di Parc de la
Villette: elementi che decostruiscono lo spazio creando una
spazialità interna di complessa identificazione.
BANG!
BANG!
Bang...Bang...Bang…
Cos’è
il Bang? Il Bang è una caratteristica chiave di un progetto che può
essere espressa a parole o attraverso immagini. Appartiene
all’architettura, ma allo stesso tempo si riferisce anche a tutte
le componenti che la costituiscono (illuminazione, distribuzione,…).
Il bang di quest’opera è il layer e la sua capacità interattiva:
gli architetti progettano per layers ognuno dei quali rappresenta una
componente di progetto: verde,acqua, infrastruttura ed edificio vero
e proprio. Questo processo di stratificazione si esplica anche
internamente all’edificio, dove la spazialità risultante deriva
dall’incastro di superfici differenti, interposte qua e là da
“folies” ovali multi-funzione. Il gioco della stratificazione lo
si rintraccia anche a livello strutturale: la copertura è costituita
da più strati uno su l’altro, dal sistema simile a tralicci alla
pelle esterna. I livelli potrebbero rimandare ad un’idea di
architettura giocata su un principio di evoluzione spaziale e
temporale del progetto, che ad una prima occhiata sembra composto di
tre elementi principali: un volume serpeggiante, una superficie
simile ad un origami verde, un piano-tessitura di base su cui le
altre due forme si poggiano. L’insieme di queste tre componenti
restituiscono il progetto. Wassily
Kandinsky si dedica allo studio della parte grafica e parla di punto,
linea e superficie: il punto è statico ed è il primo nucleo del
significato della composizione; la linea è dinamica ed è la traccia
lasciata dal punto in movimento; la superficie è il supporto
materiale destinato a ricevere il contenuto dell’opera. Si ritrova
un po’ qui la concezione geometrica kandiskiana, anche se manca la
componente cromatica, che qui viene annullata per dare forza alla
plasticità dei grigi. La composizione per layers evoca un’idea
spaziale che muta a seconda delle funzioni, a seconda dell’ambiente,
reagisce all’uomo e alla realtà che lo circonda. Interattività si
può dire. Il complesso è una grigia multimediale animata da tanti
pixel che giocano a combinarsi a creare realtà spaziali sempre
diverse, in nome di un’architettura che gioca con se stessa alla
ricerca di una simbiosi con il paesaggio e di una sua identità.
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