BERNARD TSCHUMI, PARC DE LA VILLETTE- approfondimento
LA SCACCHIERA
STUDIO DI UN'OPERA
BERNARD TSCHUMI - PARC DE LA VILLETTE
IL BANG
STUDIO DI UN'OPERA
BERNARD TSCHUMI - PARC DE LA VILLETTE
Anno 1978: sequestro
e uccisione di Aldo Moro, i Blues Brothers debuttano al Saturday
Night Live, la mafia uccide Peppino Impastato, esce il fumetto
Garfield, Pertini è Presidente della Repubblica, viene eletto
Pontefice Karol Wojtyla, entra i vigore la Costituzione spagnola e
debutta in televisione la serie televisiova Arnold.
Cosa c’entra
l’architettura con tutto ciò?
Bisogna partire da
Roma. Innanzitutto, l’accezione di architettura si evolve e si
modifica a seconda delle condizioni socio-economiche e culturali
degli anni venti, degli anni trenta, degli anni quaranta-cinquanta,
sessanta, settanta, ottanta. Proprio agli anni ottanta si deve
arrivare, quando il concetto di contesto diventa il leitmotiv del
pensiero dei progettisti, in quanto si ha ormai la consapevolezza
della natura finita, limitata della città e delle sue risorse. La
parola contesto a riferimento sia alla configurazione del luogo sia
al quadro sociale, storico e culturale che lo influenza. Di
conseguenza, l’architettura non può che accompagnare una realtà
così mutevole e e imprevedibile, che si sviluppa su se stessa e
quale esempio migliore per capire questo processo se non Roma, la
città della stratificazione per eccellenza. Lo zoom su Roma porta
nella vita quotidiana l’elemento storico, cattura l’attenzione su
una realtà costituita da frammenti, stratificazioni, presenze anche
dissonanti, su uno spazio urbano che è “scena” ed è una
continua combinazione di architettura e natura in varia misura
antropizzate. Questo modello di architettura-archeologia comporta una
riammissione delle preesistenze, dei pezzi di natura e di storia in
un circuito vivo.
Dall’altro lato,
in città in cui lo spirito cristallizzato di una civiltà si
percepisce meno si tenta una sperimentazione sul fronte sia urbano,
che puntuale a livello residenziale, basato sulla ricerca di nuove
forme di relazione tra tessuto e spazi pubblici (come nel caso di
Berlino, Napoli e Venezia).
Da queste
sperimentazioni nascono tre correnti prevalenti di ricerca
architettonica: una fondata sul concetto di palinsesto e sulle
stratificazioni del territorio (che ha come suo principale teorico
Peter Eisenman); un’altra concentrata sul contesto abbandonato e
caotico delle periferie urbane (che ha per esponente Frank Gehry);
infine, l’ultima è quella che lavora sul contesto-paesaggio come
tessitura (che ha come suo principale esponente Zaha Hadid). Quello
che accomuna tutte e tre le sfaccettature della nuova architettura è
l’imprescindibilità del contesto e della sua relazione con il
paesaggio naturale.
Parc de la Villette
si inserisce in un percorso storico complesso e articolato. Per prima
cosa, bisogna partire da alcune figure di riferimento: Peter
Eisenman, Jacques Derrida e Wassily Kandinsky.
Eisenman,
nell’ambito della corrente del Post-Moderno, elabora un’idea di
architettura come “sterro archeologico”, ovvero come un lavoro di
riscoperta, disseppellimento di luoghi e geometrie abbandonate o
perdute attraverso lo strumento del tracciato, ovvero di reticoli
spaziali ordinatori, griglie complesse e stratificate come in un
palinsento appunto. Eisenman si muove su questo filone servendosi
della metafora: l’edificio rimanda presenza di una storia che
l’architetto vuole raccontare , di un’intuizione che gli permette
di creare il progetto.
Jacques Derrida è il teorico del
Decostruttivismo, ovvero d quella corrente artistica che si
caratterizza per una geometria instabile, con forme pure, articolate
e decomposte, costituite da volumi deformati, tali, asimmetrie e
un’assenza di canoni estetici tradizionali. E’ un’architettura
in cui ordine e disordine convivono.
Infine, Kandinsky è
il teorico del colore e delle geometrie che ad esso si accompagnano:
la composizione è formata dal colore che nella realtà assume una
forma rospetto alla quale non può esistere separatamente. La
composizione non deve rispondere più ad esigenze di bellezza, ma
bello è ciò che l’artista interiormente sente come tale e suo
compito è adattare la forma a questo contenuto da esprimere.
Kandinsky si dedica anche allo studio della parte grafica e parla di
punto, linea e superficie: il punto è statico ed è il primo nucleo
del significato della composizione; la lineaè dinamica ed è la
traccia lasciata dal punto in movimento; la superficie è il supporto
materiale destinato a ricevere il contenuto dell’opera.
Da queste tre figure
nasce il progetto di Tschumi di Parc de la Villette. Perchè?
Parc de la Villette
è il primo esempio di parco culturale e nasce a Parigi nel 1983 a
seguito di uno dei più grandi concorsi dell’era dei “Grand
Project” del presidente Francois Mitterand. Sii presenta come un
contenitore di attività e funzioni legate non solo
all’intrattenimento, ma anche all’educazione. L’intento era
rinnovare il carattere di una vasta area in via di dismissione a
nord-est di Parigi, nel quartiere di Belleville. Il progetto è
innanzitutto una riflessione sul tempo, sul passato, il presente, il
futuro e i loro rapporti, secondo la visione dell’architettura come
palinsesto che era di Eisenman: aper questa ragione, Tschumi adotta
la tecnica del layering: suddivide
il progetto in più sottoinsiemi autonomi, ciascuno dotato di una sua
logica, funzione e giacitura che sovrapposti creano il progetto
stesso con tecniche di discontinuità cinematografica. La Villette è
costituito da una serie di dislocamenti, sovrapposizioni ce hanno
origine da frammenti di storia rintracciati con le cartografie.
Il
parco è il manifesto della decostruzione architettonica: non si ha
più una forma cristallizzata , ma dei punti rossi chiamati Folies,
una serie dissociata di “cellule generatrici”, le cui
trasformazioni non sono circoscrivibili. Questa configurazione
spaziale mette in luce la visione di Tschumi del rapporto
uomo-natura: l’architettura
è generata dalle complesse relazioni che si instaurano fra gli
uomini e fra gli uomini e lo spazio che direttamente fruiscono. Tutto
lo spazio nasce dal movimento . Le Folies decostruiscono lo spazio,
che tuttavia non risulta mai privo di utilità. Il
nuovo parco nasce dalla sovrapposizione
di tre sistemi autonomi, che evocano la teoria di Kandinsky su punto,
linea e superficie: i
punti sono rappresentati da una trentina di oggetti architettonici di
dimensioni contenute rivestiti di lamiera rossa disposti alle
intersezioni di una griglia immaginaria sovrapposta in maniera
indifferente al sito. Le linee sono i percorsi che attraverso
tracciati apparentemente casuali disegnano la trama che permette di
addentrarsi nel parco (sono evidenziati dalle pensiline metalliche
ondulate). A questi si aggiunge la Promenade Cinematique, che si
articola in numerosi episodi consecutivi come le sequenze di una
pellicola. Le superfici sono generate dall’intersezione dei
percorsi e ospitano invece funzioni diverse, dalle attività sportive
a spazi per feste o cinema all’aperto.
In tutto ciò,
quello che però cattura l’occhio dell’osservatore è il
contrasto tra il rosso delle costruzioni e il verde della natura. Qui
rientra in gioco la teoria del colore di Kandinsky: il colore può
avere due possibili effetti sullo spettatore, uno fisico basato su
sensazioni momentanee e uno psichico dovuto alla vibrazione
attraverso cui il colore raggiunge l’anima. L’effetto psichico
del colore è determinato dalle sue qualità sensibili, perché ha un
odore, un sapore e un suono.
IL BANG
Bang...Bang...Bang…
Cos’è il Bang? Il Bang è una caratteristica chiave di un progetto che può essere espressa a parole o attraverso immagini. Appartiene all’architettura, ma allo stesso tempo si riferisce anche a tutte le componenti che la costituiscono (illuminazione, distribuzione,…). Kandinsky parla di poetica del colore, di forza espressiva, quasi di personificazione di quest’ultimo. A mio parere, nel caso di Parc de la Villette, il contrasto cromatico che si crea tra il verde della natura e il rosso dell’azione antropica ad un primo sguardo sembrerebbero essere i principi ordinatori del sistema del parco. Tuttavia, nonostante la forza di questi elementi, a mio parere, il bang di quest’opera deve essere ricercato in fase di elaborazione, di disegno del progetto stesso. Il bang di quest’opera non è altro che il layer, che non costituisce un elemento fisico vero e proprio, ma il progetto in sé: tutto è pensato e regolato in base ad un processo di sovrapposizione di livelli, ognuno dei quali corrisponde ad una diversa componente dell’architettura, dall’illuminazione al sistema del verde pubblico. Secondo la logica di un architettura “stratificata”, Tschumi adotta il layer in quanto elemento reversibile, resiliente, che, come una costruzione Lego, consente di creare a partire da piccoli elementi puntuali (in questo caso le così dette Folies) le più diversificate soluzioni progettuali. Il layer è come una pedina, che si muove a seconda del volere del progettista, ma allo stesso tempo costituisce lo spirito dell’opera in toto, dal momento che tutto appare organizzato, grazie proprio al layer, in una griglia logicamente giustificata e perfettamente adeguata al genius loci (i percorsi di Tschumi ripercorrono antichi tracciati recuperati dalle cartografie storiche). Tutto è sistemato in base alla disposizione dei layer sovrapposti, che sono concepiti per ospitare un'architettura che si modula sull'azione dell'uomo, sul suo agire e che evolve con il tempo come un organismo vivente.
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